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ANTEPRIMA MULTIMEDIALI

Il segmento testuale Vittorio Emanuele è stato riconosciuto sulle nostre fonti cartacee. Questo tipo di spoglio lessicografico, registrazione dell'uso storicamente determinatosi a prescindere dall'eventuale successivo commento di indirizzo normatore, esegue il riconoscimento di ciò che stimiamo come significativo, sulla sola analisi dei segmenti testuali tra loro, senza obbligatoriamente avvalersi di vocabolarii precedentemente costituiti.
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da Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza. Vol V (R-S), p. 403

Brano: Savoia, Vittorio Emanuele Ili

Da sinistra: Mussolini, Hitler, Goebbels, Hess, Vittorio Emanuele III e la regina durante la sfilata in onore idi Hitler a Roma (1938)

Anzi, Vittorio Emanuele fece sapere a Giovanni Amendola che non sarebbe intervenuto: « lo sono cieco e sordo. I miei orecchi sono la Camera e il Senato ». Una posizione, dunque, di pseudo conformità alla prassi costituzionale. ma sottilmente arcigna, stessuta di pignoleria e di realismo, alla stregua di un modesto burocrate cji stato. Siccome si trattava di un giudizio di appello, i liberaldemocratici gli imputeranno questa colpa più ancora della scelta compiuta nel fosco mattino del 28 ottobre.

Altre minori crisi sancirono la perdita di prestigio e di potere della monarchia: fu il caso della legge che investiva [...]

[...]

Altre minori crisi sancirono la perdita di prestigio e di potere della monarchia: fu il caso della legge che investiva di poteri costituzionali il Gran Consiglio del fascismo (v.), chiamando fra l’altro quest’organo prettamente fascista a deliberare sulla successione dinastica; e poi, nel 1938, quando venne creata la carica di “maresciallo dell'impero”, attribuita alla pari a Mussolini e al re. Ma a questo punto, ormai vicino ai settantanni, Vittorio Emanuele si era come rinchiuso in sé stesso, lontano da ogni contatto con la gente, circondato dalle cerimonie di un regime per cui non aveva simpatia e che pure gli aveva procurato il titolo di « imperatore di Etiopia », a cui ben presto si aggiunse quello di « re d’Albania ». Tuttavia egli stimava ancora Mussolini e, nonostante il senso di distacco che nutriva per il suo fondo plebeo, sembrava attratto dalla sua “abilità”. Preparandosi l’impresa etiopica, era rimasto perplesso e ostile fino al suo viaggio in Somalia, e anche di fronte alla Seconda guerra mondiale, durante la “non belligeranza” (v.),[...]

[...]va attratto dalla sua “abilità”. Preparandosi l’impresa etiopica, era rimasto perplesso e ostile fino al suo viaggio in Somalia, e anche di fronte alla Seconda guerra mondiale, durante la “non belligeranza” (v.), il re non aveva nascosto di recalcitrare all’idea dell’intervento, per di più al fianco dei tedeschi.

Il distacco dal regime

Ormai vecchio, diffidente nei confronti del figlio Umberto (v.) che gli appariva inetto alla successione, Vittorio Emanuele si astenne dal sostenere attivamente lo sforzo della guerra. Nella coreografia del regime, egli sembrava ormai una figura di secondo piano.

La sua capacità di analisi e percezione l’avrebbe però condotto a una ripresa quasi paradossale di iniziativa, tessendo la congiura contro

il dittatore che stava portando il paese, e la stessa dinastia, alla sconfitta.

Da questo risveglio, nel silenzio di ristretti ambienti di corte, sarebbe scaturito il colpo di stato del 25 luglio (v.). Ma il re non si volle muovere se non quando vi fosse stata assoluta sicurezza di riuscita

e, per questo, a[...]

[...]non si volle muovere se non quando vi fosse stata assoluta sicurezza di riuscita

e, per questo, attese e colse l’occasione della seduta del Gran Consiglio del fascismo, in cui Grandi mise in minoranza Mussolini. Lo strumento e argomento tecnico usato dalla fronda fascista, ben presto esautorata e andata a pezzi, fu anzi

il ritorno al sovrano del comando delle forze armate, che lui stesso aveva ceduto a Mussolini.

Anche dopo il 25 luglio Vittorio Emanuele si tenne il più possibile distante dalle sollecitazioni degli antifascisti, che ora tornavano sulla scena più forti, sostenuti da molte buone ragioni, più uniti e radicalizzati di venti anni prima. Una volta nominato Badoglio alla testa del governo, egli sperava probabilmente di non dover troppo amputare l’opera del fascismo.

La fuga di Pescara

Il progetto di Vittorio Emanuele, più istintivo che politico, aderiva ancora una volta a uno schema di classe allora piuttosto diffuso, dopo il ventennio della dittatura, al vertice del mondo borghese italiano: un fascismo “moderato”, riconciliato col capitalismo occidentale e più organico alle tradizioni italiane, poteva sopravvivere. Ma anche questo disegno doveva presto tramontare e fu travolto all'atto deH'armistizio nella fuga dalla Capitale (9 settembre), in cui il re seguì Badoglio e fu accompagnato dal figlio Umberto (v. Pescara, Fuga di).

Per casa Savoia sarebbe stato un altro grave capo d’accusa. Si era posta in[...]

[...]tal modo definitivamente — mentre nel Nord si sviluppava la resistenza antifascista e antitedesca — la questione istituzionale.

Insediato il 10 settembre a Brindisi (v.), il re non volle sapere di proposte che contemplassero il suo ritiro, comunque formulate. Solo in seguito al maturare di nuovi elementi fu possibile sbloccare la situazione: avviato un nuovo e più largo governo Badoglio, col concorso dei partiti antifascisti, il 12.4.

1944 Vittorio Emanuele si impegnò ad affidare la Luogotenenza del Regno (v.) al figlio Umberto, a partire dal momento della liberazione di Roma. Tale impegno fu reso formalmente esecutivo il successivo

5 giugno.

Rimasto isolato in una residenza del Mezzogiorno, il vecchio re tornò a farsi vivo per l’ultima volta con un atto di abdicazione concertato col figlio ed emanato il 9.5.1946, quando il referendum istituzionale e l’elezione deN’Assemblea costituente erano ormai alle porte, per influenzarne i risultati. Fu l’ultima “scorrettezza”, neH’ambiguo tentativo di stornare un giudizio del popolo centrato sulla s[...]

[...] in una residenza del Mezzogiorno, il vecchio re tornò a farsi vivo per l’ultima volta con un atto di abdicazione concertato col figlio ed emanato il 9.5.1946, quando il referendum istituzionale e l’elezione deN’Assemblea costituente erano ormai alle porte, per influenzarne i risultati. Fu l’ultima “scorrettezza”, neH’ambiguo tentativo di stornare un giudizio del popolo centrato sulla sua persona e dì facilitare Umberto a conservare la corona. A Vittorio Emanuele non rimase comunque che un anno e mezzo di vita, che trascorse in esilio ad Alessandria d’Egitto.

Bibliografia:_G. Volpe, Vittorio Emanuele III, Milano 1939; A. Degli Espinosa, Il Regno del Sud, Roma 1946; Gec (E. Gianeri), Il piccolo re. Vittorio Emanuele nella caricatura, Torino 1946; D. Bartoli, V.E. Ili, Milano 1946; ld., La fine della monarchia, Milano 1966; U. D' Andrea, La fine di un regno: grandezza e decadenza di V.E. Ili, Torino, 1951; M. Viana, La monarchia e il fascismo. L’angoscioso dramma di V.E. Ili, Roma 1951; S. Scaroni, Con V.E. Ili, Milano 1954; N. D’Aroma, Vent' anni insieme: V.E. e Mussolini, Bologna 1957; P. Puntoni, Parla V.E. Ili, Milano 1958; R. Katz, La fine dei Savoia, Roma 1975; S.



da Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza. Vol V (R-S), p. 402

Brano: Savoia, Vittorio Emanuele III

Nella sua continuità, il regno di Vittorio Emanuele fu dunque uno dei più drammatici del

I età contemporanea. Non solo ebbe inizio da un regicidio e si concluse con l'abdicazione, ma la sua storia interna fu segnata da svolte e colpi di scena periodizzanti, in cui la condotta del re si fece più incisiva e qualche volta (in forme ora positive e ora negative) determinante. Per tre volte, nel 1915, nel 1922 e infine nel 1943 Vittorio Emanuele si trovò al centro di mutamenti di indirizzo attuati con la forza, in cui la monarchia riuscì vincitrice con i suoi sostenitori, e dunque si fece partito nella lotta delle parti. Ogni volta, in un continuo crescendo,

il colpo dato alla barra del timone si faceva più violento, fino al classico colpo di stato del 25.7.1943 (v. Luglio, 25), tutto ordito dalla monarchia e in cui Vittorio Emanuele ricuperò (ma inutilmente) il potere, avendo appreso la lezione dai precedenti episodi. Emergevano con chiarezza da tali vicende lo scontro e l’incrocio con una situazione obiettiva che veniva evolvendosi secondo una sua propria traiettoria; ma anche la condotta del re seguiva una linea che infine avrebbe contribuito a perdere (per i suoi cedimenti e le sue deviazioni) sia la nazione che la casa regnante. Gli interventi di Vittorio Emanuele nel 1915, nel 1922 e nel 1943 seguivano infatti la logica di un autoritarismo obliquo che tendeva a prevenire e riassorbire o contenere e dirottare le spinte democratiche di base, imponendo in politica estera o in politica interna disegni di prestigio e durezza che il paese avrebbe preferito non dover sperimentare.

Prima guerra mondiale

Quando, nel maggio 1915, attraverso un moto non formale della sua antica maggioranza parlamentare (la più vicina ai sentimenti neutralisti del paese) Giolitti cercò di bloccare la marcia interventista costringendo Salandra (v.) a dimettersi, il re, respi[...]

[...]ma avvisaglia di un attivo indirizzo che emarginava la democrazia. Il passaggio dalla normalità della precedente gestione ai mezzi usati nell'emergenza, denotava nelle attitudini del re una concezione fredda, da grande commesso dello stato: in rari momenti egli diveniva arbitro e decideva, secondo una opportunità formamente esclusiva ma non apolitica.

Senza interferire nell’attività di comando (che pure gli spettava) con la sua modesta figura Vittorio Emanuele fu presente sulla linea del fronte, mostrando in questo modo

di aver compreso il grande peso del fattore morale in una guerra di trincea e di masse. Dopo lo sfondamento di Caporetto (v.), in un convegno a tre con il generale Raffaele Cadorna e con il neopresidente del Consiglio Vittorio Emanuele Orlando (Treviso, 31.10.1917) e in una sorta di consulto con i capi dei governi alleati (Peschiera, 8 novembre), la sua fermezza nello scegliere il corso del Piave come linea di resistenza contro gli austroungarici incalzanti risultò all'altezza della situazione e fu uno dei perni della non lontana riscossa.

Primo dopoguerra

L’apprezzamento del premier britannico Lloyd George dopo l’incontro di Peschiera (« Rimasi impressionato dalla calma forza d’animo che egli mostrò in un momento in cui

il suo paese e la sua corona erano in giuoco; non diede alcun segno di timore o di depressione [...]

[...]del Centronord), l'attivismo del “re soldato” corrispondeva al volontariato degli interventisti, alla propaganda degli intellettuali nei fogli di trincea, al sostegno dei comitati civili nelle retrovie del fronte, ma non andava oltre.

Nel mareggiare dei problemi del dopoguerra, la monarchia rischiava così di trovarsi fuori gioco. Nella nuova situazione internazionale, dominata all'orizzonte dalla caduta di molte teste coronate, si accentuò in Vittorio Emanuele l’ostilità verso le lotte civili, i partiti popolari, una classe di governo senza equilibrio stabile e divisa in diverse fazioni ideologiche; il suo formalismo costituzionale si ridusse a un semplice ferro del mestiere, buono a tutti gli usi, e la sua diffidenza nei confronti di una politica troppo estrosa o passionale si tradusse in un sordo fastidio, in seguito sempre più spiccato, per i politici impegnati sul filo della democrazia.

Con il 28 ottobre del 1922 venne la sua giornata: rientrato precipitosamente a Roma per fronteggiare la crisi di governo che si accompagnava alla mobilitazio[...]

[...]Roma per fronteggiare la crisi di governo che si accompagnava alla mobilitazione delle squadre fasciste, il re si trovò di fronte l'iniziativa del presidente uscente Luigi Facta (v.) che gli sottopose

la proposta di proclamare lo stato d'assedio. Il re approvò, ma nella notte cambiò idea.

Su questo particolare (insondabile, data l'e« siguità e l’inesistenza di prove in un senso o nell’altro) si verseranno fiumi di inchiostro. Fatto sta che Vittorio Emanuele rifiutò di apporre la firma al documento abbozzato dal governo.

Per contro, convocò a Roma Mussolini, prima per consultazioni e poi, stando alla replica dello stesso Mussolini, per affidargli l’incarico a scatola chiusa. Forse ossessionato come sempre dal vecchio spettro sabaudo della guerra civile, non osando andare fino in fondo anche se l’esercito l’avrebbe seguito; forse temendo la fronda dal ramo degli Aosta, forse preferendo rompere gli indugi e affidarsi a una scelta apparentemente basata soltanto sull’autorità regia, sta di fatto che, per la prima volta inequivocabilmente, con quel[...]

[...]o anche se l’esercito l’avrebbe seguito; forse temendo la fronda dal ramo degli Aosta, forse preferendo rompere gli indugi e affidarsi a una scelta apparentemente basata soltanto sull’autorità regia, sta di fatto che, per la prima volta inequivocabilmente, con quella decisione il monarca venne meno allo spirito dello statuto (v. Marcia su Roma).

Il re fascista

Da quel giorno, in tutte le altre successive crisi istituzionali l’attitudine di Vittorio Emanuele fu piuttosto quella di privilegiare le prerogative della corona, rispetto alle ragioni profonde e agli ultimi destinatari di una “monarchia costituzionale”. Quando la bandiera dello “stato di diritto” fu risollevata (più in funzione della difesa e dell’onore che della sopravvivenza della democrazia) dai parlamentari che si erano ritirati sull'Aventino (v.) in seguito al delitto Matteotti, il re si trincerò ipocritamente dietro il « rispetto del Parlamento », guardandosi bene dal sollevare eccezioni sulla manomissione delle libertà statutarie così costantemente e apertamente praticata da Musso[...]

[...]ndiera dello “stato di diritto” fu risollevata (più in funzione della difesa e dell’onore che della sopravvivenza della democrazia) dai parlamentari che si erano ritirati sull'Aventino (v.) in seguito al delitto Matteotti, il re si trincerò ipocritamente dietro il « rispetto del Parlamento », guardandosi bene dal sollevare eccezioni sulla manomissione delle libertà statutarie così costantemente e apertamente praticata da Mussolini e dai suoi.

Vittorio Emanuele III si compiace con Mussolini durante le grandi manovre militari del 1934 in Piemonte

402



da Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza. Vol V (R-S), p. 401

Brano: Savoia, Vittorio Emanuele ili

Vittorio Emanuele III con i figli (San Rossore, 11.11.1939)

gherita di Savoia (v.)t ascese al trono in seguito al regicidio di Monza (29.7.1900) e regnò per quasi mezzo secolo, fino all'abdicazione (9.5.1946).

Fu il primo re d’Italia a nascere nello Stato già unificato. I nomi che gli vennero imposti (Vittorio Emanuele Ferdinando Maria Gennaro) sembrano voler essere comprensivi di tradizioni e orizzonti meno esclusivamente sabaudopiemontesi.

Dovette probabilmente all’influenza materna l’alto concetto del suo ruolo. Ricevette la prima piuttosto rigida educazione sotto la guida del colonnello dell’Osio e grado a grado si inoltrò nelle discipline militari, quindi negli interessi di politica estera, secondo l’uso delle case regnanti. Dopo aver frequentato il collegio militare di Napoli, seguì i corsi della Accademia militare di Modena e della scuola di guerra. Sottotenente nel 1886, nel 1892 era già maggiore[...]

[...]ato) introdussero notevoli novità rispetto agli ultimi anni di Umberto I.

Sul finire dell’età giolittiana, idealizzando e schematizzando un giudizio che era nell'aria e alludeva all’accento liberalriformistico della lotta politica interna, Mario Missiroli (v.) parlerà di « monarchia socialista », ma già c’era stato il “ritorno in Africa” con la guerra di Libia (v.) e una nuova ondata di nazionalismo imperialistico si era appena annunciata.

Vittorio Emanuele compensava la sua piccola statura, per cui forse non era né amato né ammirato, con una notevole attenzione per la politica militare ed estera, che gli competeva in modo particolare; e nelle sue prerogative non si può dire né che fosse impreparato né che avesse complessi. Conformemente al clima che era venuto prevalendo, nutriva sentimenti irredentistici, per cui dagli alleati della Triplice (Germania e Austria) si sospettava che potesse riprendere la tradizione patriotticoespansionista di un Vittorio Emanuele II.

Una monarchia borghese

Ma i tempi del Risorgimento, nonostante una certa a[...]

[...]e non era né amato né ammirato, con una notevole attenzione per la politica militare ed estera, che gli competeva in modo particolare; e nelle sue prerogative non si può dire né che fosse impreparato né che avesse complessi. Conformemente al clima che era venuto prevalendo, nutriva sentimenti irredentistici, per cui dagli alleati della Triplice (Germania e Austria) si sospettava che potesse riprendere la tradizione patriotticoespansionista di un Vittorio Emanuele II.

Una monarchia borghese

Ma i tempi del Risorgimento, nonostante una certa agiografia aulica, erano passati per sempre. Le celebrazioni del primo cinquantennio dell'unità d’Italia, nel 1910 e 1911, si svolsero nel segno della stabilità, del progresso e del consenso delle classi borghesi.

In realtà, non si capisce molto del regno e della personalità di Vittorio Emanuele se non si tiene conto di questo predominante fattore, in cui gli ultimi dei Savoia si erano ridotti a vivere e, a loro modo, a prosperare: gli hobby eruditi del re, la sua monumentale raccolta di monete, avviata in gioventù e poi sempre arricchita e studiata quotidianamente negli anni seguenti, e persino il suo modo di stare con i soldati, di seguire la guerra del 19151918 fra le trincee, i Comandi, le retrovie e gli ospedali, con molta attenzione e partecipazione, avevano qualcosa di intimamente ed eminentemente borghese. Venne poi subito avanti, e fu coltivata nel ventennio fascista, la leg[...]

[...]fu coltivata nel ventennio fascista, la leggenda del “re soldato”, per certi versi giustificata da alcuni drammatici e rilevanti momenti in cui il re incise sull'indirizzo politicomilitare della

lotta. Ma questa seconda faccia “soldatesca” non aveva, a ben guardare, un sufficiente retroterra, e questo fu in buona parte artificiosamente inventato nel clima di un dannunzianesimo di seconda mano.

La dicotomia politicomorale del lungo regno di Vittorio Emanuele, dove la Grande guerra separa l’età liberale dal periodo fascista, probabilmente può essere disciolta e ricompresa in una certa omogeneità di sviluppo lungo i binari e i criteri di condotta di una dinastia che non vuol morire e di un monarca che si adegua ai compiti e ai limiti segnati daM’egemonia borghese in un paese che nella fase gioKttiana si era industrializzato e che tendeva a superare, anche forzosamente, le proprie debolezze. È comunque un dato di fatto che al re toccò reiteratamente di intervenire sull’assetto politico e costituzionale, riflettendo le crisi del paese in uno sforzo d[...]



da Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza. Vol V (R-S), p. 92

Brano: [...]ubblica

to il segno della monarchia — un’antica aspirazione democratica rimasta minoritaria dai tempi del Risorgimento.

I repubblicani nel Regno sabaudo

La forma di stato prevalsa nel 186070 ed estesa a tutto il paese per mezzo dei plebisciti, obbediva a una linea di continuità con il piemontese Regno sabaudo che aveva contribuito aH'unificazione con il nerbo del suo esercito, lo Statuto albertino, la politica di Cavour e la dinastia di Vittorio Emanuele II. Le forze repubblicane erano state sconfitte nel corso delle rivoluzioni del 1848 e sugli spalti della Repubblica romana del 1849; Giuseppe Garibaldi (v.) ne avrebbe tratto le conseguenze per concorrere comunque all’unità della patria, e l’impresa dei Mille nel Mezzogiorno ne rappresentò l’apporto più riuscito e drammatico. Giuseppe Mazzini (v.), ritenuto dall’agiografia del Regno unitario con Vittorio Emanuele II, con Garibaldi e Cavour il quarto grande del Risorgimento, aveva incarnato la sconfitta dell’idea repubblicana ed era scomparso nel 1872, poco dopo l’annessione di Roma e la fine del potere temporale. La stessa memoria del federalismo repubblicano o del socialismo risorgimentale, di Carlo Cattaneo e di Carlo Pisacane (v.), subì il contraccolpo del successo dello stato monarchico che, raccogliendo l’eredità sabaudopiemontese e agevolandosi di tutti i contributi garibaldini e patriottici, era sfociato in una egemonia politica borghesemoderata (v. Italia).

Nella critica a questi risultati [...]

[...]ulla fine del secolo contro il tentativo autoritario sostenuto dal “partito di corte” e dagli ambienti più retrivi della borghesia; e poi nel primo dopoguerra, fra il 1919 e il

1920, quando emerse e si consumò il sogno di una “rivoluzione democratica” che potesse svolgersi per gradi nell’alveo dello Stato liberale, riformandolo dall’interno. Già da tempo la monarchia e segnatamente sotto Umberto I (v.) aveva perduto il prestigio acquisito con Vittorio Emanuele II. In questa situazione, nella crisi interventista del 19141915 l’istituto monarchico si ritrovò ancora squilibrato fra le due parti in lotta. Infine, dalla crisi del dopoguerra, operando per linee interne e per via di osmosi e innesti, usciva vincitore il fascismo.

Antifascismo repubblicano

Al momento della marcia su Roma (v.) si vide come la monarchia avesse funzionato da veicolo e strumento dell’imposizione squadristica. Non molto tempo prima Mussolini aveva abbandonato la conclamata e ambigua “tendenzialità repubblica

na”, che del resto gli era servita per tenere sotto pressione[...]

[...]a conclamata e ambigua “tendenzialità repubblica

na”, che del resto gli era servita per tenere sotto pressione il re e i suoi consiglieri. In margine alle istituzioni maggiormente legate alla tradizione monarchica (esercito e carabinieri compresi), il fascismo aveva già trovato addentellati o appoggi di tutto rispetto. Ciò si ripetè nelle decisive giornate dell’ottobre

1922, al momento della mobilitazione insurrezionale delle camicie nere. Vittorio Emanuele III, forse disturbato dalla spina nel fianco rappresentata dal Duca d'Aosta e nel quadro di un calcolo anche più cinico, ormai aperto a una vocazione antipopolare da allora mai più smentita, rifiutò a Luigi Facta (v.) la firma dello stato d’assedio che inizialmente era sembrato approvare. Appena formato il governo di Benito Mussolini, nei primi atti dell’opposizione (che all’inizio fu quasi tutta di sinistra, dai comunisti ai socialisti dei due partiti) si distinse il manipolo di repubblicani, i quali disponevano di pochi uomini, ma di qualche qualità giornalistica, parlamentare e d’azione, c[...]



da Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza. Vol III (H-M), p. 582

Brano: [...]». Marzotto non disdegnerà d’altra parte di scenderò a forme di corruzione molto più efficaci verso i diretti « persuasori » della cittadinanza: fino al 196870 verranno erogate generose « gratifiche » di fine anno, oltre che a tutti i funzionari e dirigenti di fabbrica, agli insegnanti, agli impiegati comunali, ai parroci e a quanti altri ritenuti meritevoli di questa elargizione di sapore feudale.

Gaetano fu validamente affiancato dal figlio Vittorio Emanuele che, dopo aver studiato all’estero i criteri più aggiornati di gestione, li attuò in fabbrica introducendo nuove macchine, facendo sorgere i primi impianti di pettinatura (campo nel quale la Marzotto fu sempre all’avanguardia), un nuovo lanificio a Maglio e, a Recoaro, una centrale autonoma per l’alimentazione elettrica degli impianti.

I rapporti con il potere politico dell’epoca furono naturalmente ottimi: alla fine del governo Crispi', Gaetano venne eletto più volte deputato nelle liste dei liberali costituzionali. In quello stesso periodo l’industria laniera godette di un accentuato pro[...]

[...]to più volte deputato nelle liste dei liberali costituzionali. In quello stesso periodo l’industria laniera godette di un accentuato protezionismo doganale (Tariffa generale del 1887). Il Consorzio tra i filatori di lana a pettine, di cui Gaetano fu tra i maggiori protagonisti, nel 1905 riuscì a disciplinare i prezzi con un accordo contro la concorrenza delle piccole aziende.

Nel 1910, quando alla morte di Gaetano l’azienda passò a suo figlio Vittorio Emanuele, il numero degli operai era già salito a 2.000. Eletto a sua volta deputato di Valdagno, « conservatore in. politica e riformista e progressista come industriale » (secondo la definizione delle apologie commemorative), anche Vittorio Emanuele Marzotto fu fautore di una politica collaborazionista tra operai e padroni.

La Prima guerra mondiale assicurò cospicue commesse alla Marzotto come a tutta l’industria laniera italiana che, tra il 1915 e il 1918, ebbe a fornire alle Forze armate più

di 100 milioni di metri di panno. Per contro, la crisi di ristrutturazione deH’immediato dopoguerra ebbe nefaste conseguenze per le maestranze dei lanifici che si trovarono di punto in bianco senza lavoro. Nel 1922, alla morte di Vittorio Emanuele (ferito in un agguato l’anno precedente) gli succedette alla testa dell’impresa suo figlio Gaeta[...]

[...] collaborazionista tra operai e padroni.

La Prima guerra mondiale assicurò cospicue commesse alla Marzotto come a tutta l’industria laniera italiana che, tra il 1915 e il 1918, ebbe a fornire alle Forze armate più

di 100 milioni di metri di panno. Per contro, la crisi di ristrutturazione deH’immediato dopoguerra ebbe nefaste conseguenze per le maestranze dei lanifici che si trovarono di punto in bianco senza lavoro. Nel 1922, alla morte di Vittorio Emanuele (ferito in un agguato l’anno precedente) gli succedette alla testa dell’impresa suo figlio Gaetano Marzotto junior.

La Marzotto sotto il fascismo

Sotto la guida di Gaetano, a partire dal 1922 la Marzotto si sviluppò aprendo nuovi stabilimenti a Manerbio (Brescia), a Mortara (Pavia), a Noventa Vicentina e ampliando quello di Maglio di Sopra. Altri stabilimenti sorsero a Trissino (Vicenza) e a Pisa.

Gaetano non si compromise subito apertamente con il fascismo. Si ha notizia che nel 1927 un suo parente, l’on. Luciano Marzotto, salvò Alcide De Gasperi (v.) dalle mani degli squadristi che[...]



da Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza. Vol III (H-M), p. 444

Brano: [...]ifascisti tra il 4 e T8.5.1944, furono riorganizzate e unificate con la costituzione della Divisione Lunense (v.). Praticamente questa venne a raggruppare tutte le bande che si stendevano per la Lunigiana fino ai monti di Massa. A ciascuna formazione dipendente dalla Divisione fu assegnata una zona della Garfagnana o della Lunigiana. Si vedano anche le voci La Spezia e Lucca.

Luogotenenza del Regno

Delega di poteri concessa dal re d’Italia Vittorio Emanuele III al principe ereditario Umberto il 4.6.1944 e durata fino al 9.5.1945, allorché, con l’abdicazione del padre in suo favore, il Luogotenente assunse il titolo di re Umberto II.

La questione istituzionale

II 28.1.1944, al Congresso di Bari (v.), i C.L.N. avanzarono fermamente la richiesta dell’abdicazione immediata di Vittorio Emanuele III, considerato il maggior responsabile dellavvento fascista al potere, della ventennale dittatura e dell’insensata avventura bellica. Nella seduta conclusiva del 29, la richiesta di abdicazione « immediata » del re venne votata all’unanimità dal Congresso. Quel voto costituiva anche una presa d’atto da parte dei Comitati di liberazione deH’impossibilità di porre, per il momento, la questione istituzionale.

Su tale questione i moderati cercarono di prendere tempo, mentre gli Alleati angloamericani avevano già espresso chiaramente il loro pensiero (ancor più drasticamente si sarebbe pronun[...]

[...]i e oppositori dell’abdicazione mediante un artificio giuridico: la delega, da parte del sovrano, delle proprie prerogative al principe ereditario Umberto di Savoia, nominato Luogotenente del Regno.

Questo artificio, sosteneva l’avvocato De Nicola (che ne era stato di fatto l’ideatore, venendo così incontro alle preoccupazioni filomonarchiche di Benedetto Croce), aveva un precedente: la delega concessa durante il conflitto 191518 dallo stesso Vittorio Emanuele

III a suo zio Tommaso di SavoiaGenova, nominato appunto « luogotenente » del Regno. Se accettata, la scappatoia avrebbe lasciata impregiudicata la questione istituzionale, venendo incontro alla volontà dei partiti del C.L.N. e, nello stesso tempo, alle preoccupazioni degli Alleati di tutelare l’istituto monarchico in quanto tale.

Umberto di Savoia lascia per sempre il Quirinale dopo il referendum del 2.6.1946

444



da Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza. Vol I (A-C), p. 248

Brano: [...]edetto Croce.

A giudizio di chi scrive, non ci si poteva attendere dall’oratore nulla di meglio: la condanna dell'intervento fascista in Spagna, l’esaltazione dei combattenti per la libertà ovunque si trovassero (in Francia, in Cina, in Cecoslovacchia, in Polonia), l’affermazione che « il caduto prestigio del re e la diffidenza che si ha verso di lui vietano al re stesso di raccogliere combattenti italiani contro i tedeschi », l’accusa contro Vittorio Emanuele (« fin tanto che rimane a capo dello Stato la persona del presente re, noi sentiamo che il fascismo non è finito, che esso ci rimane attaccato addosso, che continua a corroderci e a infiacchirci, che risorgerà più o meno camuffato e, insomma, che così non possiamo respirare e vivere >») non provocarono soltanto le ovazioni entusiastiche dei congressisti, ma valsero a modificare il giudizio di molti di noi, sviato dalle informazioni degli amici politici del Croce. Questi fu spietato contro il re anche se, in verità, non lo fu altrettanto contro la monarchia. Ma, quantunque limitato il suo bers[...]

[...]dei congressisti, ma valsero a modificare il giudizio di molti di noi, sviato dalle informazioni degli amici politici del Croce. Questi fu spietato contro il re anche se, in verità, non lo fu altrettanto contro la monarchia. Ma, quantunque limitato il suo bersaglio, le accuse al re, pronunciate in modo pacato e solenne, non potevano non riversarsi anche siili'istituto al quale l’oratore era fedele da tanti anni: egli non risparmiò i difensori di Vittorio Emanuele, pur non ignorando quanti ve ne fossero fra i suoi stessi amici; li chiamò « semiministri » o « anonimi scrittorelli », accusandoli di « esortare gii italiani alla concordia e ad abbracciare la persona di un re che per venti anni non si è lasciato abbracciare da nessuno, se non forse, ahimè, dagli uomini in camicia nera ».

Al congresso parteciparono: 24 rappresentanti del P.d’A., 9 della Democrazia del lavoro, 21 della

D.C., 21 del P.S.I., 21 del P.C.I.,

19 del Partito liberale, 2 di « Giustizia e Libertà »; e, inoltre, Croce, Sforza e il rappresentante del

C.L.N. centrale di Roma[...]

[...]i voti unanimi delle popolazioni, il Partito d'Azione, il Partito Socialista Italiano ed il Partito Comunista Italiano, mentre proclamano che la mancata formazione di un governo nazionale democratico ricade unicamente sulla monarchia dei Savoia e sul governo Badoglio, propongono al Congresso le seguenti deliberazioni:

1o Non essendo seguita, né al 25 luglio né alla dichiarazione di guerra alla Germania, l’attesa e richiesta abdicazione di re Vittorio Emanuele III, formulare Tatto di accusa contro il re, fondato su tutte le violazioni dello Statuto da lui commesse. 2o Che il Congresso si proclami assemblea rappresentativa dell’Italia liberata e che stabilisca di riconvocarsi al più presto, completandosi con i delegati delle province non ancora liberate, in Roma, per ivi sedere in permanenza, fino alla formazione della Costituente, assolvendo temporaneamente i seguenti compiti: a) procedere alla formazione di un governo straordinario che assommi i poteri della disciolta Camera e della corona, preoccupandosi subito di dargli una larga base di masse; [...]



da Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza. Vol IV (N-Q), p. 836

Brano: [...]08, dietro ordine di Napoleone Bonaparte che volle così punire Pio VII per non aver accettato la rinuncia alla sovranità temporale della Chiesa (in seguito Pio VII sarà deportato in Francia).

Nel 1849, durante la Repubblica Romana, quando Pio IX fuggì a Gae

ta, per breve tempo il Quirinale ospitò Giuseppe Mazzini.

Dal 1870, dopo la proclamazione di Roma capitale del Regno, il Quirinale divenne la dimora dei Re d'Italia. Nel 1878 vi morì Vittorio Emanuele IL

Si stabilirono successivamente nel palazzo Umberto I con la regina Margherita, Vittorio Emanuele III con la regina Elena e infine Umberto II. Quest’ultimo vi soggiornò soltanto dal 9.5.1946, data di abdicazione del padre, fino al 16.6.1946 quando partì per l’esilio.

Il Quirinale fu quindi per tre quarti di secolo teatro di importanti avvenimenti per la storia italiana: nell’ottobre 1922 Vittorio Emanuele 111 vi ricevette il primo ministro Facta quando questi, di fronte al fascismo che minacciava di occupare la città di Roma, propose di proclamare lo stato d’assedio. Ma alle 10.30 del

28 ottobre, quando i fascisti irruppero nella Capitale, il monarca accolse Benito Mussolini e, tradendo

10 Statuto, lo incaricò di formare un nuovo governo. Con questo atto ebbe inizio l'ascesa del fascismo al potere.

Con la proclamazione della Repubblica (2.6.1946), il Quirinale divenne ufficialmente sede del presidente della Repubblica. Enrico De Nicola, designato Primo Capo provvisorio dello Stato dal[...]



da Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza. Vol III (H-M), p. 252

Brano: [...]a a Milano nel 1962, con queste parole: « Attraverso la lotta di Liberazione, l'antifascismo, la Resistenza, sofferenze, sacrifici, passione, di cui vi ha dato testimonianza l'amico Ferruccio Parri, noi siamo arrivati alla repubblica. Ma questa che abbiamo fondato è una repubblica di restaurazione o è una repubblica democratica di rinnovamento? È un quesito assai grave.

Nel Risorgimento si ebbe lo stesso problema. Mazzini, Garibaldi, Cavour e Vittorio Emanuele non erano la stessa cosa e non volevano le stesse cose. Nell'aspirazione all'indipendenza del paese erano consapevolmente o inconsapevolmente uniti. Dal punto di vista di come concepire il nuovo Stato unitario, Mazzini e Garibaldi erano Mazzini e Garibaldi; Cavour e Vittorio Emanuele erano Cavour e Vittorio Emanuele.

Nel Risorgimento l'ideale politico della corrente democratica popolare fu sconfitto. L’unità d'Italia era stata fatta, ma non era stata fslta e creata l'Italia quale i democratici la concepivano. Oggi, nel centenario dell'unità, è un problema importante sapere se la repubblica sarà un fatto di restaurazione o una premessa di rinnovamento. A questo problema alcuni partiti hanno già dato una risposta; altri, come il partito cui l'onorevole Clerici appartiene [Democrazia Cristiana, n.d.r.], la devono ancora dare. Speriamo che la diano in senso positivo ». Scritti e discorsi di Ugo La Malfa s[...]



da Enciclopedia dell'antifascismo e della Resistenza. Vol V (R-S), p. 394

Brano: [...]ri a pene ancor maggiori). Sette mesi dopo il processo, fu accertato e reso noto che il milite era stato in realtà ucciso per gelosia da un suo commilitone, confesso in punto di morte. Ciò non bastò alle autorità fasciste per autorizzare la revisione del processo.

Savoia, Luigi di

Luigi Amedeo di SavoiaAosta duca degli Abruzzi. N. a Madrid il 29.1. 1873, m. a Mogadiscio (Somalia) il

16.3.1933.

Terzogenito di Amedeo d’Aosta (figlio di Vittorio Emanuele II e della principessa Maria Vittoria Dal Pozzo della Cisterna), venne al mondo pochi giorni prima dell’abdicazione del padre al trono di Spagna. Dedicò tutta la sua vita alla carriera nella Regia Marina, a importanti viaggi di esplorazione e al tentativo di colonizzare una vasta regione in Somalia, imprese che lo renderanno famoso come “principe marinaro”, “principe esploratore”, “principe contadino”.

All’età di sei anni fu ammesso in Marina in qualità di mozzo, a dieci era allievo onorario deH’Accademia Navale di Livorno e nel 1889 compì un lungo viaggio fino al Brasile e al Pacifico. In[...]

[...]tembre 1911 fu nominato ispettore delle siluranti e coilaborò all'occupazione delle coste libiche. Nel 1912 ricevette la nomina a viceammiraglio e il comando del Dipartimento marittimo della Spezia. Il 26.8.1914 gli venne affidato il comando supremo delle forze navali, incarico che gli rimase fino al febbraio 1917. Le carenze della flotta emerse nel corso della guerra mondiale e criticate dai Comandi alleati (ma probabilmente anche l'ostilità di Vittorio Emanuele III verso gli Aosta) furono le cause che costarono a Luigi di Savoia la rinuncia al comando.

Ancora poco dopo la sua morte, il re ne sottolineava tutti gli errori commessi In un colloquio col maresciallo Enrico Caviglia che, da parte sua, annotò che il duca degli Abruzzi « era un uomo di carattere forte, ma la sua intelligenza non era pari all'altezza del carattere ».

Lasciò la Marina per sempre e non ebbe un seguito la promozione ad ammiraglio conferitagli il 28.2.1918.

La colonizzazione della Somalia

L’ultimo periodo della sua vita coincise con il progetto di colonizzare un este[...]

[...]ita eroica del Duca degli Abruzzi, Torino, 1950; C. Maino, La Somalia e l'opera del Duca degli Abruzzi, Roma, 1959; A. Del Boca, Gli italiani in Africa Orientale, Voi. I, Dall'Unità alla marcia su Roma, RomaBari, 1976, pp. 84750, 8737; Ibidem, Voi. Il, La conquista dell’impero, RomaBari, 1979, pp. 826, 1334, 2146.

E.Tor.

Savoia, Mafalda di

N. a Roma il 19.11.1902, m. a Buchenwald (Germania) il 28.8.1944; principessa.

Secondogenita di Vittorio Emanuele

III (v.) e di Elena di Montenegro, è conosciuta come la “principessa martire” per la tragica fine cui andò incontro in Germania (v. Abeba).

394


successivi
Grazie ad un complesso algoritmo ideato in anni di riflessione epistemologica, scientifica e tecnica, dal termine Vittorio Emanuele, nel sottoinsieme prescelto del corpus autorizzato è possible visualizzare il seguente gramma di relazioni strutturali (ma in ciroscrivibili corpora storicamente determinati: non ce ne voglia l'autore dell'edizione critica del CLG di Saussure se azzardiamo per lo strumento un orizzonte ad uso semantico verso uno storicismo μετ´ἐπιστήμης...). I termini sono ordinati secondo somma della distanza con il termine prescelto e secondo peculiarità del termine, diagnosticando una basilare mappa delle associazioni di idee (associazione di ciò che l'algoritmo isola come segmenti - fissi se frequenti - di sintagmi stimabili come nomi) di una data cultura (in questa sede intesa riduttivamente come corpus di testi storicamente determinabili); nei prossimi mesi saranno sviluppati strumenti di comparazione booleana di insiemi di corpora circoscrivibili; applicazioni sul complessivo linguaggio storico naturale saranno altresì possibili.
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